Ma torniamo al mio “caso”, nel Post "La Svolta" eravamo rimasti all’ennesimo ricovero di mia madre in una Clinica privata di
Vicenza.
L’approccio in questa Struttura è
stato leggermente diverso, non hanno cambiato immediatamente la terapia, ma
hanno deciso di valutare per circa tre mesi la situazione anche attraverso dei
test neurologici, inoltre settimanalmente assegnavano a tutti i ricoverati
delle piccole mansioni, come disegnare, blande attività di coordinamento
motorio (giochi con la palla), passeggiate, preparare a turno la tavola dove
mangiare assieme, andare a messa.
L’ampio e curato parco della
Clinica si prestava alle passeggiate e il bar era di libero accesso.
La Struttura è divisa in
più reparti, ognuno per un specifico problema: disturbi alimentari, disturbi
psichiatrici, disturbi neurologici ed infine un reparto, che mi ha colpito come
un pugno allo stomaco, dove vengono accuditi i cosiddetti “senza speranza”.
La Clinica in origine era
adibita a Istituto Manicomiale di proprietà ecclesiastica, in seguito la Legge “Basaglia” che ha
messo al bando i “manicomi”, ha permesso ad una cordata di investitori di riadattare la struttura a Clinica privata,
ma alcuni ospiti della vecchia gestione, in gravi condizioni mentali, sono
rimasti e sono stati confinati in un
reparto dedicato.
Una sola volta mi è capitato,
mentre cercavo un infermiere, di accedere a questo reparto e, nonostante l’attenzione
dello staff nei confronti di questi ospiti fosse più che adeguata, mi sono reso
conto di come può diventare una persona con gravi sofferenze mentali, senza
essere curata adeguatamente per decenni...uno spettacolo triste e tragico allo
stesso tempo.
Dopo tre mesi il Responsabile del
reparto, dove mia madre era ricoverata, ha inviato una relazione valutativa
alla Psichiatria della nostra ASL, nella quale si affermava in prima ipotesi,
un maggior peso del problema “psichico depressivo” rispetto a quello “neurologico”.
Questa relazione costrinse la
nostra Psichiatria Territoriale a concedere altri tre mesi di ricovero a
Vicenza, allo scopo di stabilizzare mamma.
Nella grave situazione in cui
versava mia madre, scoprimmo che il lungo distacco dall’ambiente familiare, aveva
già dato dei risultati, in seguito furono inserite nuove tipologie di farmaci a
dosi più consone, anche se il cocktail era sempre più che abbondante.
Nelle nostre frequenti visite,
cercavamo di tenere occupata la sua mente, con piccoli giochi aritmetici,
passeggiate e prima di lasciarla le leggevo dei romanzi di fantasia, che in
qualche modo la tranquillizzavano.
I suoi primi disegni rappresentavano
buchi neri o grotte scure ma, verso la fine del periodo di ricovero, aveva
cominciato a disegnare anche cose meno inquietanti come la casa e animali.
Alla fine dei tre mesi aggiuntivi
di ricovero a Vicenza, fu inviata una ulteriore relazione valutativa, in cui si
metteva in risalto il leggero miglioramento della paziente, la persistente
problematica depressiva e delle indicazioni di una iniziale degenerazione
neurologica.
La nostra Psichiatria
Territoriale decise che il periodo di ricovero era più che sufficiente o meglio….
che non si potevano spendere altri soldi per un ulteriore prolungamento dello
stesso e comunicarono a Vicenza, la fine della degenza.
Purtroppo lo comunicarono solo a
Vicenza e non a noi, l’informazione ci fu data dalla Clinica privata che ci
chiese da un giorno all’altro di portare a casa mamma, senza nemmeno il tempo
di prepararci...vedete come il potere dei soldi è imperante nei privati.
Dopo un’insistente trattativa
telefonica, ci concessero ancora tre giorni aggiuntivi per organizzare al
meglio il rientro di mamma, in cuor nostro sapevamo che non avremmo avuto altre
possibilità, dopo questa, rimaneva solo l’internamento in un Struttura di
contenimento definitivo, magari in uno dei reparti per i “senza speranza”.
Ma questa volta c’erano delle
differenze, oltre al tipo di ricovero che aveva trascorso mia madre, ne sapevamo
di più sulla questione, sapevamo di cosa c’era bisogno, in questi sei mesi di
ricovero, avevamo studiato ed imparato il più possibile.
Infatti, prima del rientro di mia
madre, avevamo già mosso i primi passi per cercare di creare tutti quei
supporti che ho abbondantemente citato nel Post precedente "La Squadra Vincente".
Avevo anche capito che
Psichiatria Territoriale non poteva o non voleva darci tutto quello di cui
avevamo bisogno, dovevamo perciò trovare un’altra via, per costringere il “Sistema”
ad ascoltarci e aiutarci.
Decisi pertanto di contattare
alcune Associazioni territoriali, nel campo dell’Alzheimer e delle disabilità
psichiche, per capire come potevamo muoverci nell’ottenere i “supporti”
necessari.
Le Associazioni hanno un peso
politico maggiore, rispetto al singolo familiare, e poiché la Politica pervade ogni
cosa soprattutto nel Pubblico, vedi Ospedali, Assessorati Comunali ecc., se formuli
una richiesta attraverso esse, hai più opportunità che ti sia concessa.
All’interno di queste Associazioni,
inoltre, ci sono spesso personaggi di spicco, come avvocati, politici ma anche dirigenti
della Sanità territoriale.
E’ quindi importante non
rimanere a lottare da soli, ma farlo dall’interno di una Associazione che vi
rappresenti, dove potete essere aiutati e dove raccogliere nuove informazioni.
Non vergognatevi mai di esporre i
vostri problemi, la “sofferenza psichica” non è più un tabù da nascondere,
perché il tipo di vita che in questi tempi conduciamo, la mancanza di Valori
della nostra Società, sta purtroppo ingrossando le fila di chi soffre e non
immaginerete mai, quante famiglie sono state colpite da questo problema.
All’interno dell’Associazione Alzheimer
abbiamo trovato dei Medici con più sensibilità che hanno deciso di valutare,
assieme a noi, di volta in volta la terapia farmacologica e gli esami diagnostici
più idonei per aiutare mamma.
In una Associazione indirizzata
alla “sofferenza psichica”, abbiamo trovato l’appoggio necessario per
convincere il Dipartimento di Psichiatria ad inserire mia madre in una serie di
attività all’interno del loro Centro Diurno.
Inizialmente queste attività
erano molto poche, ma comunque importanti per portare avanti un percorso di
socializzazione attraverso piccoli laboratori: taglio e cucito, teatro, cucina,
ecc.
L’inserimento al Centro Diurno,
inizialmente di poche ore alla settimana per evitare che mia madre si sentisse
troppo responsabilizzata, è successivamente stato ampliato, in proporzione ai
miglioramenti che evidenziava.
Questo inserimento ci è stato di
grande aiuto, per mantenere mia madre attiva ed evitare che la sua presenza in
casa pesasse troppo sulla famiglia, giacché le sue problematiche erano ancora
molto forti.
Sempre tramite le Associazioni
abbiamo creato un supporto psicologico, per noi familiari e anche per mamma,
attraverso degli incontri ogni due settimane con uno Psicologo.
E’ fondamentale che l’ammalato
crei un buon feeling con lo Psicologo, altrimenti il lavoro di quest’ultimo non
funzionerà, nemmeno se è di provata fama e grande professionalità.
Quindi, se il vostro caro non
si trova bene, cambiate Psicologo fino a quando non si creerà il giusto
rapporto di confidenza e fiducia.
Abbiamo poi instaurato delle
riunioni familiari settimanali, per meglio coordinarci verso i problemi che
mamma esternava, cercando di affrontare al meglio, sulla base di quanto avevamo
imparato, certi suoi atteggiamenti e
quindi prevenirli o accettare di subirli.
Devo dire che mio padre si è
sacrificato parecchio, rispetto alla propria mentalità, per imparare (con i
suoi limiti) come muoversi in queste difficili situazioni.
Abbiamo anche istituito il famoso
“calendario” (citato a Capitolo precedente, supporto n.6) dove misurare
l’andamento delle giornate di mamma.
Conoscevo inoltre, perché
frequentatore da molti anni, una palestra vicino a casa dei miei genitori e,
grazie alla comprensione dei proprietari, nel tardo pomeriggio per circa tre
anni ho portato mia madre, due volte a settimana, a fare un percorso di
riabilitazione motoria, dove la seguivo personalmente (e mi allenavo pure),
ecco quindi creato il supporto n.4 (vedi Post "La Squadra vincente")
Il Centro Diurno organizzava
direttamente delle gite, e noi le integravamo con uscite domenicali, per
invogliare mamma a svagarsi.
All’allenamento motorio collegavo
anche l’allenamento mentale con piccoli esercizi di matematica, piccoli temi e
domande facili, ogni settimana li imponevo come “compiti a casa” da risolvere,
e successivamente li correggevamo assieme.
Se sbagliano non ha importanza,
l’importante è che provino a risolverli, devono essere esercizi facili, perché
l’insicurezza nelle proprie capacità è costantemente presente in un sofferente
psichico.
Mantenere al massimo le capacità
intellettive di mia madre, così gravemente compromesse dalla malattia e dai
farmaci, è stato il nostro costante obiettivo, perciò attraverso continue
consultazioni con “Medici Specialisti” di ormai nostra fiducia, abbiamo puntato
a ridurre al minimo la quantità di farmaci, prediligendo sempre il farmaco, con
il minore impatto come effetti collaterali.
Nei periodi di maggior crisi, le
dosi si potevano anche leggermente incrementare, per poi tornare a quantitativi
minori superata la crisi.
Purtroppo abbiamo dovuto creare
noi i “supporti” e abbiamo coordinato i vari attori di questa “squadra
vincente”, dopo circa tre anni di questo intenso lavoro, con molti momenti di
sconforto, il risultato era evidente e anche all’interno del Dipartimento di
Psichiatria, hanno dovuto riconoscere i buoni risultati raggiunti.
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