PREFAZIONE





 Non è mia intenzione mettere in discussione l’utilità e, purtroppo, la necessità della Psichiatria, se fatta con coscienza e professionalità, ma voglio raccontare la mia esperienza che, mio malgrado, mi ha fatto conoscere questo ambiente, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni.



L’obiettivo di questo mio racconto è spiegare quello che un utente qualsiasi è costretto ad affrontare quando ha la sfortuna di imbattersi con “ La Malattia Mentale” sua o di un suo caro.

Alla fine del percorso (anche se non si può mai dire finito) ho capito un concetto importantissimo: se si vuole avere la speranza di raggiungere un obiettivo positivo si deve sempre tener presente il proverbio “Chi fa per se, fa per tre”, questo motto mi ha permesso di giungere a migliori risultati con le mie sole forze.

Oltre alle mie disavventure, voglio raccontare anche cosa mi ha aiutato, nel difficile percorso del recupero dell’equilibrio mentale di una persona a me molto cara…mia madre.

La speranza è che le informazioni che scriverò, possano essere un valido aiuto orientativo per chi si trova o si troverà ad affrontare situazioni simili alla mia.



Nei post seguenti non solo racconterò i fatti accaduti, ma affronterò anche le soluzioni da me adottate e risultate poi vincenti, anche quelle che spesso mi hanno allontanato dal raggiungimento dell’obiettivo, al fine di presentare un panoramica completa.


Alcuni termini che troverete in questo mio racconto o negli allegati informativi potranno risultare sconosciuti a molti di voi, per renderne più facile la comprensione troverete alla fine un “Glossario” nel quale ho inserito la spiegazione della maggior parte di questi.
Dovrete comunque tener sempre presente, che le considerazioni e le riflessioni che scriverò sono personali e tarate sul mio caso e sulle mie esperienze, quindi non sanciscono la “verità in assoluto”.
Non pretendo quindi di dare formule magiche, ma solo indicazioni, che si basano sul mio vissuto, dico questo perché citerò fatti che identificano anche strutture ospedaliere e Corpo Medico.
Altri potrebbero contestare ciò che racconterò ed esprimere giudizi nettamente opposti, ecco perché insisto nel dire che il mio vissuto non può e non deve essere considerato come la “verità in assoluto”.
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Com’è nato il problema



L’anno in cui ho cominciato a capire che mia madre stava veramente male era il 2001, quindi ormai ho più di dieci anni di esperienza e certe volte mi sembra impossibile di aver percorso un così lungo cammino.
Incomincio a dire che quando una persona evidenzia a chiare lettere un disturbo mentale, spesso il problema inizia molto tempo prima, in forma quasi del tutto silenziosa.
Nel caso di mia madre, probabilmente (la sicurezza in questi campi non esiste), comincia addirittura dalla nascita: nata da parto gemellare, con una struttura esile.
La sorella gemella muore a distanza di circa un anno e, come spesso d’uso in quegli anni del dopo guerra, è allevata con poche cose e con poco affetto, in una famiglia numerosa di ben undici figli!
Già sposina a 21 anni, età normale per quel tempo, inizia la sua vita di moglie, madre, casalinga.
I problemi, in una famiglia con un unico stipendio medio e con prole, sono tanti, le vacanze sono eventi da una volta l’anno.
Comunque anche se nella mia famiglia non si navigava nell’oro, non ci si poteva lamentare.
Ci sono persone che amano la vita senza troppe sorprese…come mio padre, altre persone invece sono attratte da continue novità…come mia madre.
La vita da casalinga con i conseguenti doveri familiari certo non permetteva a mia madre di sviluppare tutte le sue fantasie di viaggi o di vita mondana.
Un’altra cosa che ha limitato molto mia madre nella sua vita è stata l’incapacità di sviluppare una propria autonomia per crearsi soddisfazioni, senza il bisogno del supporto di qualcuno che organizzasse per lei, questo l’ha limitata molto nel sviluppare iniziative del tutto personali o nel creare un tessuto di amicizie proprie.
E’ pur vero però che, per la mentalità del tempo, la moglie doveva rendere conto al marito e accudire la famiglia, cosa che non ti lascia tanto tempo libero.
Una cosa è certa, la parola “ANSIA” ha caratterizzato spesso la nostra vita familiare, infatti, sia mia madre che mio padre sono persone con un forte profilo ansioso, forse a causa di personalità non molto spiccate, frutto di infanzie vissute all’interno di un tessuto familiare non proprio dei migliori, intendo dire che le loro famiglie non possono essere citate come esempi educativi.

Su queste basi mia madre comincia, dopo i quarant’anni, ad accusare un senso d’irrequietudine, con stati di aggressività e di depressione che sfociavano spesso in furibondi litigi familiari.
Mio padre non migliorava la situazione, poiché tutti i problemi di lavoro li portava a casa, creando ulteriore disagio.
Ecco quindi mia madre tentare un percorso pieno di espedienti più o meno medici per riequilibrarsi.
Spesso questo suo malessere si manifestava anche sotto altre forme: gastrite, difficoltà nel dormire, difficoltà  intestinale, stanchezza, tensione muscolare.
Molti rimedi, da lei adottati, erano quindi indirizzati a risolvere questi problemi, ma non la loro vera causa.
Io, allora poco più che adolescente, pensavo che queste situazioni fossero il frutto dei rapporti difficili tra mio padre e mia madre, incrementati da una debolezza fisica e quindi di salute di quest’ultima.
Scoprirò poi che erano invece l’avvisaglia di un malessere mentale, che stava crescendo per cause “fisiologiche interne”(spiegherò poi il “perché” di questo termine) e accelerato da cause esterne, dovute al tipo di vita che mia madre conduceva.
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