Il momento del crollo




Verso i cinquant’anni di mamma, accadono due eventi: mio padre va in pensione, io vado a vivere da solo.

Mia madre, come spesso succede alle mamme, ha sempre avuto in me, figlio maschio e primogenito, una lieve preferenza rispetto a mia sorella, incentivata anche da frequenti scontri caratteriali tra di loro.

La mia fuoriuscita dalla famiglia, aveva tolto a mia madre la possibilità di avermi al suo fianco come conforto nei litigi con mio padre e, aveva anche svuotato in parte il suo ruolo di madre, ruolo che ha occupato gran parte della sua vita.

Inoltre la presenza continua in casa di papà in pensione aumentava le difficoltà nei loro rapporti.

Mia madre cominciò a rendersi conto che il suo malessere diventava sempre più grande e decise, con un atto di consapevolezza, di andare al CSM (Centro di salute mentale) dell’ASL.



A fine anni novanta in Italia, nella mentalità generale, lo “Psicologo“ era considerato un mangia soldi, lo “Psichiatra” era per i matti e di solito si chiedeva aiuto al “Medico di base”.

Infatti, in precedenza alla coraggiosa decisione di mamma di andare al CSM, il suo Medico di base l’aveva riempita di ansiolitici.

A quel tempo e purtroppo talvolta ancora oggi, il Medico di base prescriveva anche psicofarmaci, di solito antidepressivi o ansiolitici.

Il Medico di base non può prescrivere psicofarmaci, se non su prescrizione di uno Specialista.

Potremmo anche parlare del ruolo oggi dei Medici di base, ridotti, spesso, anche per colpa della loro scarsa professionalità, a fare i burocrati e non solo a causa del “Sistema”, che ci mette molto del suo...ma questa è un’altra storia, che non tratto in questa sede.



Torniamo a noi...



Al CSM mia madre è assegnata a una psichiatra che le prescrive una terapia a base di antidepressivi e ansiolitici.

La situazione non migliora e dopo vari colloqui con la psichiatra di riferimento, le cambiano più volte la “cura”, sia come dosi e poi anche nel tipo di farmaco.

Non si capisce il “perché” questi sedicenti Psichiatri, non ti spiegano quasi mai che, per i primi venti trenta giorni l’antidepressivo produce effetti negativi, il paziente sembra addirittura stare peggio; solo dopo questo periodo il farmaco comincia la sua azione di miglioramento.

Questo é evidenziato in numerosi studi clinici, ma probabilmente(non vedo altra giustificazione) non lo spiegano perché pensano: “Visto che stai male, se ti dico che ti faccio stare peggio, tu non mi prendi la medicina”.

Inoltre, proprio per questo motivo, si dovrebbe iniziare da dosi molto basse, per alzarle poi con gradualità, invece troppo spesso prescrivono da subito la dose di mantenimento o di arrivo, così l’ammalato sta ancora peggio e abbandona prematuramente la “cura” o chiede di cambiarla.



Comunque, con pochi risultati, mia madre arriva alla menopausa, con tutti gli sbalzi di umore e ormonali che questa comporta, ed essendo già presente una sofferenza mentale... il crollo nel baratro è immediato.

A una prima fase di bulimia, dove mia madre mangia di tutto e spesso, aumentando di peso velocemente, le succede una fase in cui perde repentinamente peso e in pochi mesi diventa magrissima.

Il fisico così stressato, le causa una specie di collasso, che richiede l’intervento dell’ambulanza.

Comincia ad avere fissazioni e passa molte ore a letto, a poco a poco non riesce più ad esprimersi a parole (sintomo chiamato “afasia”), le giornate per lei non passano mai, vuole stare costantemente al buio, imprigionata da pensieri che nessuno comprende, non si lava, non mangia.
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